I progetti per i piani di gestione dei parchi archeologici in Italia e all'estero: strumenti di governance
print this pageUno dei più recenti filoni di ricerca aperto dal settore archeologico dell’Ateneo maceratese, oggi al centro di un’azione nell’ambito del Progetto sul Distretto Culturale Evoluto delle Marche (DCE) “PlayMarche” della Regione Marche a cui partecipano la provincia di Macerata e la Soprintendenza Archeologica per le Marche, è quello legato al rapporto tra ricerca scientifica e gestione territoriale con l’obiettivo di contribuire ad evidenziare il rapporto tra storia e società, un rapporto che modella e rende inconfondibile ed identitario il territorio (figura 1).
Se la politica di conservazione del patrimonio culturale scaturisce esclusivamente da strategie difensive di minimizzazione o compensazione del danno è difficile far sì che la domanda di valorizzazione del bene possa tradursi in una domanda di piano e di progetto, che restano invece le sole opzioni percorribili in forme di tutela legate alle dinamiche trasformative e di crescita socio-economica del territorio. Per dare un senso alle eredità del passato è infatti impossibile pensare di fermare la corsa del tempo e il compito degli archeologi, oggi, non può che essere anche quello di fornire ai pianificatori, imparando a parlare il medesimo linguaggio, strumenti utili per integrare nelle politiche di piano il tematismo archeologico. In questa prospettiva si deve leggere la scelta, collaborando con le autorità a diverso titolo competenti nella programmazione e gestione del territorio sia della realizzazione prima di un modello per la gestione, attraverso un sistema informativo territoriale (GIS), del Parco archeologico di Cupra Maritima (Cupra Marittima – AP) (figura 2), sia delle attività connesse alla valorizzazione dell’Area archeologica di Tifernum Mataurense (S. Angelo in Vado – PU) e quindi degli “schemi direttori” per i piani dei Parchi archeologici di Urbs Salvia (Urbisaglia - MC), in Italia (figura 3), e Antigonea-Hadrianopolis, in Albania (figura 4) che hanno l’obiettivo di andare oltre l'attività di conservazione di tipo tradizionale, di stampo difensivo, e fare un primo passo, istituzionalmente concordato, per la gestione delle aree archeologiche oggetto di studio da parte del nostro ateneo.
I parchi sono infatti spesso considerati come aree sottoposte a vincolo, emergendo solamente quanto insito nel concetto di vincolo e cioè l'immodificabilità dei luoghi. I progetti, tenuto conto della necessaria zonizzazione delle aree legata al diverso livello di potenzialità archeologica, contengono in sé una sfida declinabile nelle seguenti questioni di fondo:
1) qual è la loro capacità di stabilire contatti fecondi con il contesto territoriale?
2) il tipo di sviluppo che il parco può indurre è essenzialmente una maturazione di coscienza, un’occasione di formazione, sui temi propri dell’archeologia, o anche una crescita socio-economica?
3) la valorizzazione di tracce, frammenti e ruderi dell'antica città può tramutarsi in ancoraggio e riferimento per la riorganizzazione di un ambito territoriale più ampio che interagisce con le finalità gestionali del parco archeologico?
E’ evidente che la forza dirompente che il parco può avere, nel momento in cui, attraverso il piano, supera lo stato di isolamento in cui attualmente si trova e diventa il contenitore ed il generatore di rapporti funzionali tra le componenti naturali e culturali interne ed esterne all’area, potrebbe delineare nuovi equilibri gestionali e costringere a ripensare la concezione tradizionale di “area musealizzata” a favore di un'interpretazione, sempre più diffusa, di parco come “attrezzatura produttiva”. In questa prospettiva è stata studiata la fruizione delle aree cercando di connetterle con i beni ed il tessuto insediato circostante (figura 5) che potrebbe, a sua volta, essere la sede dei servizi necessari ad una prima accoglienza dei turisti (figura 6).
Roberto Perna