Il Lapis Aesinensis e la scoperta della Salaria Gallica

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Con questo nome ci si riferisce ad una epigrafe di straordinaria importanza rinvenuta del tutto casualmente nell’alveo del fiume Esino, nel luglio del 1969. La pubblicazione del documento, uscita alquanto in ritardo, avvenne grazie al coinvolgimento dell’Università di Macerata, dove era stata attivata nel 1970 la cattedra di Epigrafia romana, da cui prese subito le mosse un progetto di studio del patrimonio epigrafico delle marche. Fu per questo che il Prof. Alfieri dell’Università di Bologna, cui il testo era stato affidato in studio, volle coinvolgere i colleghi dell’Ateneo maceratese.

Si tratta di una grossa lastra su cui è incisa una lunga iscrizione, che ne occupa circa i tre quarti del prospetto (figgure 1-2). Il testo ha subito un’ampia abrasione lungo tutto il lato desto, a causa del dilavamento dell’acqua del fiume, che ne compromesso la precisa intellezione in vari punti. Ma ciononostante è stato possibile comprenderne il senso generale e coglierne gli aspetti storici.

In sostanza l’epigrafe ricorda un certo Marco Ottavio Asiatico, un personaggio altrimenti sconosciuto, che in onore delle comunità degli Anconitani, dei Pisaurensi e degli Esinensi costruisce una via pubblica, la quale fa da raccordo tra la Salaria Gallica e la Salaria Picena, precisando che la nuova strada si snoda per un tratto all’interno delle sue stesse proprietà, mentre per un tratto ricade nel territorio della colonia di Pesaro. Fornisce quindi altri particolari della strada in questione.

Due sono i dati importanti che il nuovo documento ci fornisce. Il primo riguarda la politica a sostegno a favore delle colonie di nuova fondazione attuata nella seconda metà del I sec. a.C. da Ottaviano-Augusto sia in prima persona, sia – come appunto in questo caso – coinvolgendo le risorse di privati desiderosi di mettersi in mostra in vista poi di remunerazioni di carriera. Le tre città sono infatti qualificate in un punto del testo come “colonie” e poiché una di esse, Ancona, divenne colonia solo nel42 a.C. (mentre Pesaro e Jesi avevano tale titolo già da prima), si capisce che l’intervento del munifico benefattore andava a favorire i coloni trasferiti nelle tre città a seguito delle guerre civili di questo periodo.

Il secondo dato importante riguarda le notizie sulla viabilità della regione. Del tutto nuova è notizia dell’esistenza di una Salaria Gallica e di una Salaria Picena, due strade che dovevano essere diverse, evidentemente, dalla Salaria vera e propria, quella per intenderci della valle del Tronto, che più precisamente attraversava l’Italia centrale da Roma all’Adriatico. Le due nuove Salarie dovevano chiamarsi così perché della Salaria originaria erano una continuazione (figura 3). Lo studio di questa realtà viaria ha dunque portato l’Alfieri ad identificare la Salaria Gallica in una strada che si staccava dalla Salaria tradizionale all’altezza di Arquata del Tronto e saliva a ridosso dell’Appennino fino a Sarnano e Pian di Pieca, dove piegava in direzione di Urbisaglia e proseguiva trasversalmente fino a Jesi e forse a Senigallia. Questa strada si chiamava dunque Gallica perché era diretta all’antico Agro Gallico, il territorio a nord dell’Esino un tempo abitato appunto dai Galli Senoni. La Salaria Picena doveva invece essere la strada che da San Benedetto del Tronto saliva lungo la costa verso nord attraversando il territorio piceno. La nuova strada, costruita da Ottavio Asiatico, fungeva da raccordo tra la Salaria Gallica e la Picena in quanto collegava Ancona, che si trovava sulla Salaria Picena, con Jesi, sulla Salaria Gallica. Ed è probabile che la sua strada proseguisse, dopo Jesi, verso nord alla volta di Suasa, dove per mancanza di terre nella valle del Foglia, erano stata dislocata una parte dei coloni dedotti a Pesaro dopo la battaglia di Filippi (42 a.C.).   

Come si vede il lapis Aesinensis si rivela di grande interesse per la storia del territorio marchigiano nel delicato periodo tra la fine della repubblica e la nascita dell’impero.

Gianfranco Paci