Scavi e restauri in corso a Sabratha: l’area sacro-funeraria di Sidret El-Balik e le tombe dipinte

print this page

L’area sacro-funeraria di Sidret el-Balik, salvata da sicura distruzione da A. Di Vita negli anni ’70, trovandosi nella moderna Sabratha, si è rivelata di straordinaria importanza per l’archeologia dell’Africa settentrionale tardo-antica ed è stata oggetto di uno dei più audaci interventi di restauro mai avvenuti in Libia, tutt’ora in corso da parte dell’Università di Macerata e di restauratori formatisi all’Istituto Centrale del Restauro, che ha permesso il recupero del più vasto ciclo pittorico mai scoperto nell’Africa romana, 180 mq di affreschi che erano caduti, insieme ai muri, nel disastroso terremoto del 365 d.C. (figura 1), appena qualche decennio dopo la loro realizzazione da porre dopo il 310. L’area comprendeva una cappella funeraria ed la vasta corte scoperta affrescata che ospitava 4 grandi stibadiaper i banchetti funebri (figura 2).

 

Sulla parete sud si stendeva una pergula animata da uccelli ed eroti (figura 6); su quella nord, tra alberi e animali, era  una figura virile (il proprietario?), sulla parete est, totalmente crollata e rialzata con anni di lavoro per recuperare le centinaia di migliaia di frammenti delle pitture, su un alto zoccolo è un fregio con vedute di città a volo d’uccello (figura 5), con un vero paradeisos con animali e piante (figura 4), e con due grandi quadri con scene di caccia (cavaliere contro un leopardo - figura 3 - e tigre che difende il piccolo), opera di un artista “animaliere”, dalla mano sicura, che ama il sovraffollamento ed i colori vivacissimi. 

I membri delle potenti famiglie che si riconoscevano nei defunti eroizzati sepolti nella tomba periodicamente si riunivano a banchettare in quest’area che può essere definita “sacro-funeraria” proprio per il valore anche cultuale delle cerimonie che vi si svolgevano, con libagioni in onore del morto, secondo il tradizionale rito del refrigerium, e banchetti per i viventi che si consumavano sui 4 stibadia, testimonianza della attività di gruppi cittadini socialmente ed economicamente significativi legati da vincoli ed interessi molteplici, che anche del refrigerium facevano un’occasione d’incontro.

Altri interventi prima di scavo, poi di restauro hanno interessato la tomba del Defunto eroizzato e quelle della Gorgone e di Tanit, importanti testimonianze pittoriche di I sec. a.C./I d.C., ampiamente danneggiate nell’apparato pittorico. La prima con la sua ampiezza dà la misura dell’importanza del clan familiare che si riconosceva nel proprietario della tomba, la cui immagine, protetta da diverse gorgoni,  campeggiava, vicino a quella della moglie, in una delle due nicchie di fronte all’ingresso, corredate da importanti iscrizioni puniche con i nomi e una frase “aborrì il peccato, amò la consuetudine” che rivela come il defunto fosse un mystes, un iniziato dei nuovi misteri bacchici pervasi di orfismo, dato che l’espressione è propria delle filosofiche etiche, come il nuovo bacchismo e lo stoicismo, che furono fra le più amate nella tarda età ellenistica ed in quella protoimperiale, dagli ambienti cittadini culturalmente e socialmente più elevati. Le altre due attestano una dipendenza dei cicli decorativi (gorgoni, festoni) dall’arte alessandrina, mentre quella di Tanit conserva uno dei simboli punici più noti.

Maria Antonietta Rizzo