Il teatro di Althiburos

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Il sito dell’antica Althiburos (figura 1), divenuta colonia sotto Adriano, l’attuale M’déina (governatorato di El Kef), si trova in una valle oggi piuttosto remota nel Nord Ovest della Tunisia ma un tempo attraversata dall’importante strada che congiungeva Cartagine, capitale della provincia, con Theveste, sede della legio III Augusta.

Storia degli studi e delle ricerche. Il primo viaggiatore europeo a dare notizia delle sue rovine, nel 1848, è il console Edmond Pellissier de Reynaud, mentre a Charles Tissot si deve la sua identificazione nel 1875. Le prime campagne di scavo si devono ai luogotenenti Ordioni e Quoniam che nel 1895 aprono numerosi sondaggi nel Foro, nel teatro e in varie abitazioni mentre scavi sistematici vengono condotti nel 1908-1912 per conto della Direction des Antiquités de Tunisie sotto la guida di Alfred Merlin. Nuove limitate ricerche vennero intraprese negli anni ’60.

I monumenti. Le attività di scavo hanno permesso di riportare in luce il centro della città: il Foro (figura 2) con i suoi portici sul quale si affacciano il capitolium (figura 3), il tempio tetrastilo (figura 4) e l’arco di Adriano (figura 5), una fontana monumentale (figura 6), vari edifici privati - fra i quali ricordiamo la “casa delle 16 basi” (figura 7) e “l’edificio degli Asclepieia” (figura 8, dal quale proviene il famoso “mosaico dei navigli” oggi al Museo del Bardo, figura 9), la casa della pesca (con mosaico di Oceano) -, un arco trionfale a Nord Ovest (figura 10), il teatro, il tophet e vari mausolei.  

Il teatro sorge alla periferia Sud della città, non lontano dal foro, sul versante della collina che si apre verso lo Oued el M’deina. Le sue rovine sono davvero imponenti, gran parte dell’edificio scenico è crollato, ma una rilevante porzione del muro perimetrale resta ancora in piedi (figura 11). Il monumento fu oggetto delle prime indagini archeologiche nel sito: i luogotenenti Ordioni e Quoniam aprirono nel 1895 una trincea in corrispondenza della fronte della scena. L’indagine riportò in luce un frammento di trabeazione con parte dell’iscrizione dedicatoria, databile all’età di Commodo (CIL VIII, 27777). Caius Iulius Felix Aurunculeanus, in qualità di edile, finanziò i primi spettacoli (CIL VIII, 27771). Nessun altra ricerca ha interessato in seguito l’edificio. 

La nuova ricerca. Nel 2006 è stato stipulato un accordo quinquennale tra l’Institut National du Patrimoine (responsabile prof. Nabil Kallala), il Politecnico di Bari (responsabili proff. Giorgio Rocco e Monica Livadiotti) e l’Università di Macerata (responsabile prof. Antonino Di Vita) per lo studio, lo scavo, il restauro e la valorizzazione del teatro. Nell’ottobre del 2007 ha preso il via la prima campagna, alla quale hanno fatto seguito altre due, nel 2009, nel 2010 e nel 2014. Sono stati avviati lavori di scavo sia all’interno che all’esterno dell’edificio (vari saggi sono stati aperti lungo il muro perimetrale, in corrispondenza della scena e in due punti della cavea) e in parallelo si è dato il via al rilievo del monumento (figure 12-13), al catalogo degli elementi architettonici e allo studio dei materiali (curato, per l’Università di Macerata, dalla dott.ssa Marzia Giuliodori, coadiuvata dalla dott.ssa Sofia Cinglani). Lo scavo (figura 14), condotto per l’équipe italiana dalla dott.ssa Marisa Rossi, ha sinora interessato gli strati più superficiali e tardi, permettendo di riconoscere strutture e rimaneggiamenti pertinenti a varie fasi che vanno dal V secolo sino all’età moderna. L’edificio è costruito in opera quadrata realizzata in grandi conci di calcare locale, le volte sono in cementizio, apparentemente modulato sul piede romano. Il diametro della cavea è di 56,78 m, il muro della facciata esterna (figura 15) si articola su tre livelli con 26 piloni e 25 arcate (il livello inferiore è attualmente completamente interrato) ed un muro d’attico, solo in minima parte conservato e che presentava le mensole per il velarium, alcune delle quali sono state rinvenute in crollo. La facciata (figura 16) non presenta decorazioni se non fasce marcapiano di cornici modanate con una semplice gola dritta. Poco al momento si può dire della cavea, solo parzialmente  indagata, mentre l’orchestra non è stata ancora raggiunta. La scena, sulla base dei resti visibili, era serrata da versurae e si articolava in una valva regia curvilinea e due porte laterali rettilinee, secondo uno schema ampiamente attestato nell’area centro orientale del Mediterraneo nel II e III secolo d.C. Se la scena sembra essere ascrivibile all’età di Commodo non altrettanto sicura è la datazione dell’impianto del teatro, che potrebbe essere anche precedente.

Nel corso degli anni hanno preso parte allo scavo numerosi studiosi, ricercatori, tecnici, studenti, dottorandi e dottorati (architetti, topografi, archeologi) sia italiani sia tunisini (figure 17 e 18).

Gilberto Montali

 Collaboratori:

Per l’Università di Macerata: dott.ssa Marisa Rossi, dott.ssa Marzia Giuliodori, dott.ssa Sofia Cingolani; per l’Institut National du Patrimoine di Tunisi: arch. Wided Arfaoui, arch. Moez Toubel, dott.ssa Fatma Nait-Yghil, dott.ssa Moufida Jenen, dott. Chukri Touihiri, dott. Kais Trabelsi, dott. Sarhane Cherif, dott. Mounir Torchani, dott. Samir Guizani, Khaled Jemmali, Brahim Hmaidi. Per il Politecnico di Bari: prof.ssa Monica Livadiotti, prof.ssa Roberta Belli, gli architetti Paola Pietanza, Valentina Santoro, Antonello Fino, Fernando Giannella, Giuseppe Mazzilli, Antonio Nitti, Luca Schepisi.